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Space occupancy: i benefici di un contratto digitale e modulare

Il concetto di space occupancy, da sempre centrale nell’universo real estate, ha assunto una rilevanza ancor più strategica da quando il modello di lavoro tradizionale, vincolato al luogo e all’orario di lavoro, ha lasciato spazio a modelli nettamente più agili e ibridi. Lo stesso smart working, che per molte aziende anche nel 2021 è sinonimo di telelavoro, agisce in modo netto sulla space occupancy e sulle altre metriche di utilizzo degli spazi: da un lato, infatti, l’occupazione dei locali aziendali si riduce in modo fisiologico, dall’altro diventa molto più imprevedibile. Tutto ciò complica, e non poco, il lavoro dei Corporate Real Estate e dei Facility Manager, poiché saper sfruttare sapientemente la disponibilità degli spazi, nella quantità e nella qualità necessaria alle attività che vi si dovranno svolgere, garantendone al tempo stesso sicurezza, comfort, compliance e anche assenza di sprechi sta diventando una sfida di grande portata.

 

Space occupancy e le esigenze di flessibilità

La soluzione si riassume nel termine flessibilizzazione, che di per sé ha tanti significati. Il primo è legato alla trasformazione del workplace in chiave di engagement: il lavoro deve essere flessibile, le persone devono interpretarlo in termini di esperienza e quindi essere in grado di viverlo nel luogo che ritengono più adatto e non in quello ‘istituzionalmente’ dedicato allo scopo: andiamo da una certa sala riunioni in sede fino a un coworking, senza rigide pianificazioni ma in funzione delle attività da svolgere e della propria agenda. È però chiaro che a questo livello di flessibilità nella fruizione degli spazi da parte dell’utente finale si deve affiancare un modello gestionale e di governance che sia altrettanto flessibile, poiché in caso contrario si dovrà fare i conti con svariate inefficienze, con spazi vuoti e servizi ugualmente da pagare, o nel caso contrario con spazi non sufficienti per i momenti di socializzazione, condivisione, innovazione e soprattutto condivisione del purpose e visione aziendale. Gestire la “variabilità degli spazi” risparmiando su servizi non necessari è un’altra grande sfida del momento.

 

Flessibilità anche sul fronte contrattuale

Al di là di una revisione, che talvolta significa riprogettazione, degli spazi per assecondare una space occupancy incomparabile con quella pre-covid, la flessibilità deve riguardare anche le dimensioni contrattuali che legano i vari attori del mondo real estate. Per esempio, pensiamo ai grandi operatori immobiliari rispetto ai propri tenant, che chiedono forme contrattuali flessibili e legate all’utilizzo effettivo di spazi e servizi (in piena logica as-a-service e di tariffazione a consumo), ma pensiamo anche ai servizi di facility management, che in qualche modo devono essere ottimizzati, resi flessibili e in linea con questa nuova modalità di fruizione degli spazi e con le esigenze del momento.

In altri termini, la gestione dei servizi sugli immobili – e quindi tutta la questione contrattuale tra committenti e provider – deve ambire a una flessibilità che sia del tutto speculare a quella portata dai nuovi modelli di lavoro e di collaborazione. Ciò rappresenta, in un’elevata percentuale di casi, un taglio netto nei confronti del passato e un segno di forte innovazione poiché tradizionalmente i contratti non sono flessibili in funzione di un’occupancy che cambia e di esigenze modulabili che variano di continuo. Questa flessibilità si può esprimere in forme contrattuali che – come anticipato - sposano appieno il paradigma as-a-service e che possono avere come oggetto servizi che variano in funzione di una space occupancy non definita a priori. Tutto questo perché la concezione stessa di luogo di lavoro ha subito ormai una tale estensione (dalla sede principale al domicilio del dipendente o dovunque si trovi lo smart worker) che occorre un nuovo mindset anche sul fronte della gestione dei servizi sugli immobili.

È sulla base di queste esigenze che risulta fondamentale approntare e impiegare un nuovo modello contrattuale di facility management, che sia in grado di sostenere il trend della flessibilizzazione e che sia dunque finalizzato a rendere disponibili gli spazi solo quando serve, in piena ottica di servitization del patrimonio immobiliare. Tutto ciò, ovviamente, non può avvenire senza il massimo sfruttamento delle potenzialità del digitale, che può avere un ruolo cardine (Smart Contract) per la formalizzazione dell’accordo, per renderlo modulare e flessibile in funzione delle esigenze del momento, e può abilitare un concetto di pay for availability, secondo cui il committente paga unicamente per la disponibilità ottenuta e certificata, che a sua volta è scalabile e dipendente da esigenze di space occupancy in perenne mutazione.

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