Wellbeing aziendale, quanto ti costa lo stress?
Per comprendere la centralità del wellbeing aziendale, le imprese dovrebbero riuscire a calcolare quanto lo stress da lavoro stia realmente costando loro. Il tema è molto ampio e le conseguenze dello stress sulla produttività e sulla salute sono sotto gli occhi di tutti, ma non volendo banalizzare un argomento così importante e complesso, c’è chi fornisce dei numeri da cui partire: la Commissione Europea, per esempio, intervenne con una prima stima nel lontano 2002, parlando di 20 miliardi di euro all’anno a livello continentale (via: Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro). Il dato derivava da un’indagine della stessa EU-OSHA, secondo cui il costo delle malattie legate al lavoro era compreso tra 185 e 289 miliardi l’anno, e da un secondo studio che considerava che il 10% delle patologie da lavoro fosse riconducibile allo stress.
Scarso wellbeing aziendale, tutti i costi per l'azienda
Pur essendo un punto di partenza importante, i numeri più recenti sono decisamente peggiori, a testimonianza di quanto lo stress sia costantemente avanzato all’interno degli uffici nel corso degli anni: in un progetto realizzato da Matrix nel 2013 (via: EU-OSHA), i costi della depressione da lavoro erano quantificabili in 617 miliardi di euro l’anno, la maggior parte dei quali imputabili ad assenteismo e presenteismo (272 miliardi) e perdite di produttività (242 miliardi), mentre dall’altra parte dell’Atlantico l’American Institute of Stress parlava di 300 miliardi di dollari/anno persi dalle aziende come conseguenza del workplace stress, ma anche del fatto che tale condizione accomuni l’83% degli employee e che un milione di persone ogni giorno non si rechi al lavoro per cause riconducibili allo stress stesso.
Cosa succede con un basso wellbeing aziendale
Da cosa derivano questi costi? Dalle assenze, innanzitutto, ma anche da una forte riduzione di produttività indotta dallo stress e dalla preoccupazione stessa, che non permette agli employee di rendere quanto dovrebbero a causa di una spirale di negatività dalla quale è difficile uscire. A tutto questo, aggiungiamo poi difficoltà di concentrazione, condizioni fisiche quali frequenti emicranie, stanchezza generale, disturbi del sonno e molto altro. Infine, c’è tutto un universo di costi invisibili, occulti, che non si possono quantificare agevolmente ma che hanno un impatto certo: per esempio, gestire male un cliente in punto vendita quanto costa all’azienda e che ripercussioni ha su tutta la rete di contatti del cliente stesso? Lo stress porta a gestire tutto in modo superficiale e di fretta: quanto costano gli errori in specifici processi aziendali?
Stress dipendenti, da dove nasce?
Lo stress dei dipendenti è purtroppo un fenomeno frequente che può avere svariate cause, alcune delle quali riconducibili al modello, al tipo di lavoro e alle dinamiche aziendali, altre maggiormente soggettive e individuali. Tra le prime, una causa molto comune di stress dei dipendenti è il sempre maggiore senso di precarietà del lavoro, che conduce a una tensione continua e a cui molte persone rispondono impegnandosi sempre di più e incrementando, di conseguenza, i propri livelli di stress; la riorganizzazione del lavoro, poi, è un altro momento molto delicato e stressante, cui si possono aggiungere due evergreen che coinvolgono buona parte dei lavoratori, ovvero la quantità di ore e i carichi in continua crescita. Questi ultimi due fattori assottigliano la quota giornaliera dedicata alla vita privata e al tempo libero gettando il dipendente in un vortice di tensione e di sconforto. A tutto ciò, ovviamente, si sommano considerazioni, limiti e debolezze soggettive, difficili rapporti interpersonali, senso di inadeguatezza, di scarsa valorizzazione e molto altro. Si fa dunque sempre più pressante l’esigenza di un’efficace politica di welfare finalizzata a contrastare e attutire le cause di stress e a creare un senso di benessere che porti a produttività ed engagement.
Come evitare i costi dello stress: puntare al wellbeing aziendale
I dati sono davvero preoccupanti. Lo sono per la salute delle persone, in primis, ma anche perché le aziende si trovano a dover affrontare costi imponenti che potrebbero evitare se solo considerassero il wellbeing aziendale come una priorità e ponessero in essere tutte le necessarie misure per favorirlo. Lo dice la logica, ma lo confermano i numeri: se lo stress porta a un netto calo di produttività, ad assenze per malattia e a tutte le conseguenze del disengagement, in modo del tutto speculare la sensazione di benessere, di motivazione e di engagement è alla base di un incremento netto della produttività (fino a +18%), della redditività dell’azienda, della creatività delle persone, della voglia di fare squadra, di risolvere i problemi e di fare quel “passo in più” che per un’organizzazione può fare davvero la differenza.
Welfare aziendale: pro e contro
Una politica di welfare aziendale ha pro e contro, dal cui bilanciamento dipende l’efficacia della sua adozione. L’obiettivo immediato è incrementare il benessere individuale, così da favorire un migliore rapporto tra vita privata e lavoro. In questo modo, infatti, è più semplice generare l’engagement di cui sopra e ricevere in cambio il massimo della produttività, dell’efficienza e dell’attaccamento ai valori del brand. Pur avendo il welfare aziendale pro e contro, i benefici sono prevalenti e vanno a “colpire” l’assenteismo, il turnover e a massimizzare la collaborazione tra le persone. Per quanto concerne i “contro”, essi sono molto più sfumati e si concentrano nelle spese per l’elaborazione e l’esecuzione di un piano di welfare aziendale. Non si tratta, infatti, di un costo legato unicamente ai nuovi servizi che l’azienda mette a disposizione dei dipendenti (es, una piccola palestra, un’assicurazione medica o dei corsi), ma anche di tutta l’organizzazione e la gestione, che solitamente ricade sul personale interno.
Welfare aziendale: esempi pratici e benefit per i dipendenti
Gli esempi tipici di welfare aziendale sono diversi, ma l’azienda non deve cadere nel tranello della standardizzazione. Fasce d’età diverse, ruoli ed esigenze differenti spingono verso la personalizzazione dei servizi e dei benefit che vanno messi a disposizione dei dipendenti. In ambito di welfare aziendale, esempi sono l’assicurazione sanitaria integrativa estesa ai familiari, l’accesso a fondi pensione integrativi e le spese scolastiche, ma anche le convenzioni con enti e società di ogni genere. Nel corso del tempo sono poi nati i cosiddetti flexible benefits, cioè i benefit liberamente selezionabili dal dipendente tra un paniere di beni e servizi a disposizione: è quindi possibile, a seconda dei casi, usufruire di convenzioni con centri sportivi, palestre e studi medici, ottenere buoni spesa e voucher carburante, ma anche sconti su cinema, viaggi, libri e molto altro. Da notare che lo stesso smart working era considerato – in era pre-pandemia – una forma di welfare aziendale da parte di molte aziende, diventando successivamente parte integrante del nuovo paradigma di lavoro.
Come aumentare il wellbeing aziendale
Difficile è capire come raggiungerla questa sensazione di benessere, perché non si può agire su un solo fattore: concedere due giorni di smart working (per modo di dire) alla settimana anziché uno, adibire un’area a palestra, organizzare corsi di fitness o migliorare le postazioni lavorative sono interventi utili ma difficilmente risolutivi. Ciò di cui l’azienda ha davvero bisogno è adottare un approccio olistico, una riprogettazione dell’esperienza lavorativa che metta al centro la persona, che sia cioè orientata a soddisfarne i bisogni e a favorire quell’engagement che poi, a sua volta, porterà a una massimizzazione di produttività e redditività. Su questi temi di carattere generale si innestano, poi, considerazioni più specifiche di empowerment del dipendente, sulla sua evoluzione personale, sul modello di leadership dell’azienda, sul ruolo dello spazio fisico e sulla progettazione, appunto, di luoghi a misura di employee experience e di wellbeing aziendale.