Per contrastare la Big Resignation servono Engagement e Well-Being
Il fenomeno della Big Resignation coinvolge milioni di persone, con ripercussioni pesantissime per il mondo aziendale. Le organizzazioni si interrogano quotidianamente su come ridurre la perdita di risorse, specie di risorse giovani. Spesso però manca la lucidità necessaria a individuare le reali motivazioni che si nascondono dietro una lettera di dimissioni.
Le persone richiedono professioni appaganti e stipendi all’altezza, ma soprattutto cercano il benessere aziendale: imprese che coltivino l’engagement dei dipendenti e che dedichino attenzione alla loro vita anche al di fuori del posto di lavoro. Imparare come realizzare l’engagement aziendale e il well-being permette di contrastare la Big Resignation e di realizzare un ambiente di lavoro più sereno e performante.
Cos’è la Big Resignation
La Big Resignation ha a che fare un aumento delle dimissioni segnalato a livello globale: stando a McKinsey quasi il 40% dei professionisti di tutto il mondo valuta la possibilità di cambiare lavoro. Soltanto in Italia, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha registrato circa 500.000 lettere di dimissioni consegnate tra l’aprile e il giugno del 2021.
È significativo osservare come il fenomeno riguardi soprattutto i professionisti nati dopo gli anni ’80: Millennials (25%) e Generazione Z (33%) rappresentano da soli più della metà del target intenzionato a cambiare posto di lavoro. I settori maggiormente colpiti dalla Big Resignation variano invece in base alla singola nazione. Secondo l’Associazione Italiana Direzione Personale, nel nostro Paese la Big Resignation coinvolge soprattutto Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%), Marketing e Commerciale (27%).
Le cause dietro la decisione di dimettersi sono molteplici, ma esistono alcuni elementi comuni da tenere in considerazione. Uno su tutti il rischio di burnout e, più in generale, la ricerca di una nuova realtà che dia il giusto peso al benessere aziendale: che si impegni a sviluppare la qualità dell’ambiente di lavoro e che offra ai dipendenti la possibilità di gestire al meglio il work-life balance. Non a caso i professionisti più giovani spesso parlano di YOLO Economy, dove l’acronimo sta per “You Only Live Once” (si vive una volta sola, ndr).
Comprendere necessità e desideri dei dipendenti
Uno studio dell’IBM Institute for Business Value evidenzia che i lavoratori sono interessati a professioni flessibili: chiedono incarichi mirati/soddisfacenti e desiderano delle possibilità concrete di avanzamento di carriera. Ma non solo. Quasi il 40% degli intervistati dichiara di valutare la qualità della propria azienda anche in base ad altri fattori: ad esempio l’opportunità di apprendimento continuo e la capacità del datore di lavoro di trasmettere valori etici.
Questi dati aiutano a capire che per imparare come realizzare engagement aziendale non è sufficiente offrire benefit o aumenti. Piuttosto occorre lavorare quotidianamente con l’obiettivo di tutelare la salute fisica e mentale dei dipendenti. Per arginare la Big Resignation bisogna puntare sul well-being e sulla sostenibilità dell’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Spesso, evidenzia ancora una volta McKinsey, il datore di lavoro non riesce a capire in profondità le motivazioni dietro una lettera di dimissioni: pensa alla retribuzione e perde di vista l’importanza di un livello di engagement più profondo. D’altra parte i dipendenti dichiarano di soffrire soprattutto per la mancanza di un senso di appartenenza (51%). A ciò si aggiunge il non sentirsi apprezzati a sufficienza dal proprio manager (52%), o dalla propria azienda nella sua totalità (54%).
Come realizzare engagement aziendale e well-being
Dati Gallup evidenziano che circa l’80% dei dipendenti non è ingaggiato dalla propria organizzazione.
“Più del 20% di loro è addirittura attivamente disingaggiato – spiega Emanuele Quintarelli, Senior Advisor eFM – Fanno il minimo indispensabile per portare a casa lo stipendio e questo genera un costo sociale ancora più grande di quello economico”. Le aziende sono chiamate a sbloccare il loro capitale umano: per contrastare la Big Resignation, per implementare i risultati di business e per migliorare la qualità della vita dei dipendenti. Soprattutto le aziende italiane, considerato che il livello di engagement nazionale è il più basso di tutta l’Europa per il 2022 (4% contro una media del 14%).
Le ricerche suggeriscono che ci sia un legame particolarmente stretto tra la percezione di benessere aziendale e l’engagement. “L’engagement è il senso di connessione emotiva tra un individuo e un datore di lavoro – prosegue Quintarelli – È quella molla che permette alle persone di mettere passione e voglia di fare nel lavoro, a prescindere da quello che dicono i contratti”.
Come spiega Daniele Di Fausto, CEO eFM e founder Venture Thinking, l’engagement ha un ruolo ancora più vasto e importante: “È il driver principale del nostro crescere: come individui, come cittadini e come impresa collettiva. Rafforzare l’engagement del personale e più in generale delle persone deve essere un obiettivo imprescindibile per le imprese”.
Esistono diverse azioni che permettono di migliorare l’engagement, ma tutto deve partire da un cambio di approccio radicale verso il concetto di trasformazione aziendale. “Le aziende e le organizzazioni sono fatte di persone, energie, speranze e paure– conclude Quintarelli–Sono degli organismi viventi e per questo, più che di trasformazione, dovremmo iniziare a parlare di evoluzione”. Evoluzione che non va gestita o imposta dall’alto: piuttosto va favorita dando funzioni di ownership non solo ai manager, ma a tutti coloro che vivono l’organizzazione e contribuiscono ai suoi risultati giorno dopo giorno.