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L'ufficio diffuso: un modello vincente per lavoratori, aziende e città

L’ufficio diffuso è considerato la terza via del lavoro: una nuova alternativa all’attività tradizionale presso gli spazi aziendali e alle varie tipologie di smart working che si sono affermate a livello globale negli ultimi anni.

 

Durante la pandemia si è parlato moltissimo di smart working: dai benefici per le aziende a quelli per le persone. La possibilità di essere operativi da casa ha cambiato il mondo professionale con una velocità e una capillarità senza precedenti. Si è trattato di una vera e propria rivoluzione, che ha evidenziato alcuni problemi strutturali tipici del classico lavoro in ufficio.

 

In questo momento storico però anche il modello smart working inizia a vacillare: soprattutto perché i dipendenti manifestano ogni giorno di più la necessità di tornare a relazionarsi

 

L’ufficio diffuso è in grado di rispondere ai nuovi bisogni dei dipendenti, ma anche di aiutare le aziende a ottimizzare spazi e costi. Soprattutto l’ufficio diffuso permette la creazione di engaging places: luoghi di lavoro capaci di coinvolgere a pieno tutti coloro che li vivono. 

 

Come nasce l’esigenza dell’ufficio diffuso

 

Il lavoro da casa è stato semplicemente necessario in un biennio duramente segnato dalla pandemia da Covid-19. Assieme ad esso, tante altre tipologie di smart working, attivate nel momento in cui non era possibile frequentare l’ufficio aziendale per ragioni di sicurezza.

 

Per mesi i vantaggi dello smart working sono stati sulla bocca di tutti, ma oggi il modello inizia a mostrare limiti evidenti. Ad esempio l’assenza di strutture e/o di tecnologie adeguate allo svolgimento dell’attività professionale regolare. E poi il ritrovato bisogno di socialità: un elemento indicato come fondamentale da moltissime ricerche dedicate al benessere sul posto di lavoro. I dipendenti desiderano entrare nuovamente in contatto con i colleghi, per sviluppare relazioni appaganti che spesso si traducono in una crescita tanto personale quanto professionale. 

 

Allo stesso tempo il classico ufficio non sembra più in grado di rispondere alle sfide del presente. Da una parte torna la questione delle strutture e delle tecnologie, che in certi casi non sono adeguate al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Dall’altra le percentuali di presenza negli spazi tradizionali risuonano come un vero e proprio campanello d’allarme: in Italia si contano quasi 20 milioni di uffici pubblici e privati, che vengono utilizzati per circa il 5% del tempo disponibile. Tutto questo a fronte di un costo che è invece rimasto invariato.

 

Da qui la necessità di un ufficio diffuso, che integri i benefici dello smart working a quelli del lavoro in presenza. Una nuova concezione di spazio di lavoro condiviso, pensata per ingaggiare i lavoratori e per metterli nella condizione di dare il 100% giorno dopo giorno. 

 

Hubquarter e MySport: l’ufficio condiviso secondo eFM

 

Hubquarter è la risposta di eFM alle esigenze di ufficio condiviso analizzate nei capoversi precedenti. Un modello che ad oggi è già protagonista di quattro diversi stream di sperimentazione. 

 

Hubquarter riguarda la progettazione e l’adeguamento di spazi di lavoro in tutto il mondo, corrispondenti a quasi 100 milioni di metri quadri e in grado di ospitare circa 100mila persone. L’intervento prevede un ripensamento degli spazi in chiave relazionale e la costruzione di luoghi aperti con postazioni condivise internamente alla singola organizzazione. Parallelamente è stata attivata MySpot: una piattaforma tecnologica che permette la gestione degli spazi, degli accessi e dei flussi

 

bquarter e MySpot garantiscono un risparmio di costi di gestione pari all’8%, a cui si aggiunge un incremento del valore degli immobili sul lungo periodo. Ma soprattutto permettono ai dipendenti di individuare una situazione di lavoro ideale: un luogo comodo da raggiungere, ingaggiante e dotato di tutti i servizi necessari.  

 

Gli Hubquarter diffusi sul territorio italiano sono già numerosi: a partire dalle Palestre Relazionali ELIS, che permettono a 300 professionisti di oltre 30 aziende di confrontarsi quotidianamente con un nuovo modo di vivere il lavoro e lo spazio. Fino ad arrivare all’Hubquarter dedicato al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza): un tavolo di lavoro permanente, pensato per il dialogo tra mondo istituzionale e mondo dell’impresa e posizionato a Piazza Montecitorio a Roma, proprio di fronte al Parlamento.

 

L’impatto dell’ufficio condiviso

 

L’impatto più importante dell’ufficio diffuso sulla persona è sicuramente quello che riguarda il raggiungimento di un migliore work-life balance: quell’equilibrio tra vita privata e vita professionale, che tiene conto di tanti elementi differenti. Dalla posizione del luogo di lavoro rispetto agli spazi di interesse, alla sopracitata possibilità di confronto con colleghi che condividano competenze, valori e aspirazioni affini. 

 

L’ufficio diffuso è in grado di avere un impatto più che significativo anche sul mondo aziendale: innanzitutto perché permette un abbattimento dei costi semplicemente straordinario. Basti considerare che, ad oggi, ogni postazione di un ufficio pubblico prevede 49 metri quadri per persona. Se l’utilizzo di uffici diffusi permettesse anche soltanto di dimezzare questo spazio medio, il risparmio aziendale sarebbe di quasi 100 miliardi di euro

 

Il risparmio di cui sopra si traduce anche in una riduzione di consumi, di C02 e di dispersione energetica. La diffusione di un nuovo modello di ufficio condiviso permette quindi di avere un impatto anche a livello di sostenibilità ambientale e persino a livello di redistribuzione di risorse all’interno dei vari quartieri cittadini. In tal senso diventa fondamentale un posizionamento strategico degli Hubquarter, in modo da diminuire le necessità quotidiane di migrazione dalla periferia al centro. Da questo punto di vista eFM ha già avviato un dialogo con i comuni di Roma e di Milano sul tema della “Città in 15 minuti”, mettendo a disposizione la piattaforma MySpot in quartieri come MIND, Santa Giulia e l’EUR